I bambini a 3 anni possono diventare difficili da gestire ma come sempre c’è un motivo se questo accade…

 

I bambini a 3 anni

 

Qualcuno parlava dei terribili due anni…Vittoria ne ha 3 e da quando li ha compiuti non riconosco più la mia bambina. Potete solo immaginare lo sconforto di vedere che tutto ciò su cui ho lavorato in questi primi anni della sua vita, ora, d’un tratto, è a rischio. 

Ma perché a 3 anni ci troviamo davanti a bambini aggressivi, che tirano calci quando provi a prenderli in braccio, che non si lasciano convincere neanche a fare la cosa più divertente del mondo se non l’hanno proposta loro e che fanno finta di spararti (e nel mio caso anche ghiacciarmi per via della sua passione per Frozen) appena gli dici qualcosa che non vogliono sentire?

 

I bambini a 3 anni

 

Dunque, iniziamo dalla prima grande novità di questa fascia d’età: la conquista del linguaggio.

Il bambino a 3 anni sa comporre frasi complesse, riesce a sostenere le prime conversazioni con l’obiettivo di convincere l’interlocutore, inizia ad avere il concetto di tempo sebbene non lo sappia ancora usare bene. Il suo linguaggio, da familiare, quindi comprensibile solo a casa e dalle persone che si prendono cura di lui, diventa sociale, comprensibile a tutti. Per arrivare a questo il bambino deve fare un lungo lavoro di acquisizione e perfezionamento, scavalcando tutti gli ostacoli, sia a livello fonoarticolatorio che rispetto alla produzione. Ma soprattutto, per rendere il linguaggio uno strumento utile per fronteggiare le frustrazioni che può trovarsi a vivere nella quotidianità, deve saper utilizzare un sistema di simboli, ovvero saper attribuire un valore simbolico alle parole!

A 3 anni questi processi sono quasi del tutto completi, sempre se tutto è andato come doveva andare…

Aver conquistato il linguaggio, comporta per il bambino due grandi conseguenze. La prima è la nascita del pensiero. Il bambino che accompagna il suo gioco con il linguaggio si rende ben presto conto che non ha più bisogno di pronunciare le parole per poterle usare per indicare qualcosa. Successivamente si accorge che ciò di cui parla a se stesso non deve necessariamente esistere per essere nominato. Si può anche solo immaginare…Ed ecco che pensa!

La seconda grande conseguenza è la socializzazione delle azioni. Il bambino che ha un linguaggio ormai “sociale” lo usa per stabilire e mantenere relazioni con gli altri. Per farlo, però, deve mettere le sue intenzioni e azioni in comunicazione con quelle degli altri…

Ed ecco che arriviamo alla crisi del comportamento.

Sebbene in linea con la precedente fase dei “terribili due”, a 3 anni assistiamo a una vera propria crisi del comportamento, che si manifesta col dire di NO a tutto e con resistenza a oltranza contro tutto e tutti, si direbbe per partito preso. In questo periodo il bambino è impegnato ad affermare se stesso, la propria autonomia e la propria personalità, portandolo a vedere gli altri come “disturbatori”. Sembra che il bambino sia in in opposizione col mondo intero, contraddice sempre e tutti, dice di voler fare una cosa ma se lo invitiamo a farla si richiude immediatamente e si infuria contro chiunque osi intervenire nei fatti suoi. Pianta scenate terribili per qualsiasi piccolezza. Sembra che, sempre per principio, intenda far tutto a modo suo!

Questa sequenza di fenomeni che di solito scoraggiano e fanno perdere la pazienza ai genitori, non sono altro che ma che il tentativo del bambino di rafforzare la propria personalità dominando l’ambiente. 

Il bambino sfida le regole imposte dal genitore perché deve imparare che cosa significa veramente la parola NO e a volte si associa a comportamenti aggressivi di rabbia e di sfida che gli sono necessari tra i 3 e i 4 anni. Tuttavia, l’aggressività è diversa dai capricci più caratteristici dei bambini più piccoli. Infatti, i sentimenti aggressivi che vengono proposti ora sono generalmente orientati verso la persona con lo scopo di “farle del male”, sono reazioni ostili e l’aggressività si esprime maggiormente a parole e con un comportamento oppositivo. Mentre nei bambini più piccoli, l’aggressività è diretta all’oggetto ed è caratterizzata da risposte fisiche.

 

I bambini a 3 anni

 

Dal punto di vista cognitivo e del gioco, a 3 anni ciò che il bambino vede sente e tocca costituisce la base di ogni suo ragionamento. Questo modo di concepire il mondo si rivela chiaramente nelle attività del bambino: non è ancora in grado di progettare, di calcolare prima come una cosa debba essere fatta, di anticipare col pensiero il risultato delle sue azioni. Perciò quando costruisce qualcosa lo fa seguendo solo l’ispirazione del momento. 

Dai 3 anni il bambino comincia poco a poco ad abbandonare il gioco solitario per dedicarsi ad attività varie in compagnia di un paio di amici. Di fatto, sono collaborazioni non sempre improntate all’affiatamento e alla buona volontà. Al contrario spesso il bambino assume un atteggiamento provocatorio fondato sulla contraddizione a oltranza. Così come nel contesto familiare, anche nelle relazioni con gli altri bambini, si pone sistematicamente contrario a tutto e per principio si mette in urto con gli altri, perché vuole in tal modo sondare le reazioni dell’ambiente e se possibile imporre il proprio dominio.

Ma il fattore che più influenza e interferisce questa fase evolutiva è quello sociale. Infatti, i 3 anni sono quelli che segnano l’entrata alla scuola dell’infanzia, la prima grande comunità umana esterna alla famiglia. Ma ciò che cambia, poiché spesso i bambini oggi sono già stati inseriti al nido, sono le capacità del bambino di controllare se stesso e i suoi rapporti con gli altri. Adesso il bambino possiede un linguaggio comprensibile a tutti, un linguaggio sociale che gli permette di dominare l’ambiente e di creare e mantenere relazioni con gli altri. D’altra parte però si tratta anche di dover accettare le regole altrui, di integrarsi nel mondo, di rinunciare alla libera espressione della propria personalità per adattarsi alle esigenze degli altri. A questo punto il bambino manifesta in modo più chiaro il suo desiderio di piacere, cioè di farsi accettare. 

Inoltre, costituire coi compagni un gruppo sociale, sviluppa le sue peculiari caratteristiche nonché la sua capacità ad affermare se stesso e conoscersi, nonché difendere i suoi e gli altrui diritti. 

Tutto questo comporta una grande fatica di adattamento degli strumenti e ampliamento delle conoscenze che possiede.

 

socializzazione

 

I bambini di 3 anni e il Complesso di Edipo

 

A livello psicologico, i 3 anni segnano l’inizio della fase fallica (3-5 anni), in cui Freud colloca la fase edipica.

Inizia infatti a crescere in lui l’interesse per la sessualità. Sul piano pratico, i due atteggiamenti principali del bambino verso il papà e la mamma sono il desiderio di essere come loro e il desiderio di essere protetto, il che si traduce in una tendenza all’identificazione e alla dipendenza. Questi atteggiamenti sono alla base di un sano sviluppo della personalità e dell’autonomia, portando il bambino a riproporre questi atteggiamenti anche con i bambini con cui ha modo di confrontarsi. In altre parole, imitando impara a conoscere se stesso e gli altri; associandosi, riesce a trovare all’esterno la rassicurazione, che finora era peculiare dell’ambiente familiare, ma che adesso gli è necessaria per dominare l’ambiente. 

La fase edipica influenza molto questi processi e questa fase di sviluppo. Infatti, verso i 3 anni le bambine tendono a innamorarsi del papà, che per loro è l’uomo ideale, e i maschietti si innamorano della mamma. Il bambino verso la mamma prova amore ma anche sentimenti ostili e aggressivi poiché la mamma è fonte di soddisfacimento ma anche di delusione, come quando lo rimprovera. Il bambino che avverte queste pulsioni tese a distruggere la mamma, inizialmente prova una grande angoscia. Ma adesso che è più grande, il bambino trova qualcuno su cui trasferire i propri impulsi distruttivi, trova cioè qualcuno da sentire colpevole al posto suo e questo colpevole è il papà, verso cui rivolge sentimenti di inimicizia e gelosia. Il papà ora non è solo colui che possiede la mamma ma è anche colui che fa del male alla mamma. 

Il complesso di Edipo si risolve in modo spontaneo entro i 6 anni, con l’identificazione progressiva con il genitore del proprio sesso. Nello sviluppo evolutivo, pertanto, questa tappa è importante per la futura strutturazione della personalità.

Tuttavia, la coppia genitoriale può influenzare l’esito della risoluzione: infatti, se i rapporti fra mamma e papà sono tesi, il dramma si farà più evidente alla coscienza del bambino poiché la realtà dei fatti lo sostiene; se invece i genitori si amano e vanno d’accordo, il conflitto rimane non confermato dai fatti e quindi relegato nell’inconscio. 

Alcuni temi sono stati trattati prendendo spunto dal libro “Il nuovo bambino” di Marcello Bernardi.

 

Flavia

@flavia_educhiamali

@flavia_educhiamali

Counselor

Dunque io sono Flavia, sono Counselor socioclinica e dottoressa in psicologia dello sviluppo.

Sono una formatrice e ho lavorato per molti anni come educatrice all’interno di asili nido e scuole dell’infanzia. 

Sono una mamma e tutto quello scritto sopra con  le mie figlie conta poco.

Amo lavorare con genitori e bambini, entrare nel loro mondo, metterli in connessione e vedere come la loro relazione cambia e li renda finalmente felici!

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