Chi sono i “bimbi trottola”?

 

In sala di psicomotricità capita frequentemente di accogliere bimbi con un profilo psicomotorio piuttosto instabile e con un’espressione energica che spesso oltrepassa il limite del controllo. Sono i cosiddetti “bimbi trottola” che, non solo si muovono evidentemente molto molto veloce, ma lo fanno anche senza un apparente scopo. Stanno ovunque e da nessuna parte e la loro presenza è spesso connotata da continui “Boom! Toc! Ahia!”, frutto dello sbattere continuo su una parete, una scivolata per terra o una perdita di equilibrio a seguito di un salto.

Un altro aspetto specificatamente connotante questa tipologia di bambini è l’apparente assenza di dolore. Contrariamente a bimbi e bimbe che, anche a seguito di una “semplice caduta” sembrano andare emotivamente in mille pezzi, i “bimbi trottola” si rialzano velocemente e, anche a seguito di cadute/urti importanti, non manifestano segni di dolore.

Spesso le strategie che vengono messe in campo con questi bimbi, nei contesti familiari ed educativo/scolastici, sono prevalentemente orientati alla limitazione.

 

No!”

Basta!”

Fermati”

Seduto!”

 

La comunicazione nei loro confronti ruota attorno al divieto, spesso utilizzato per evitare che si facciano male. Si tratta di un comportamento comprensibile a fronte del fatto che, soprattutto nei contesti scolastici, non sempre è possibile dedicare un tempo specifico per rispondere ai bisogni che questi bimbi manifestano. Nei contesti familiari, anche a fronte di un rapporto numerico decisamente inferiore, mancano le competenze specifiche per leggere questi bisogni e, soprattutto, si deve fare i conti con la comprensibile paura che il proprio figlio si faccia male. D’altronde è bene specificare sin da ora che la paura degli adulti può diventare un forte ostacolo nella relazione con questi bimbi.

 

bimbi trottola

 

La paura, infatti:

  • Non ci consente di leggere in maniera più “neutrale” i bisogni che il bambino sta esprimendo;
  • Ci fa agire troppo velocemente, senza darci il tempo di osservare nel dettaglio il movimento del bambino;
  • Comunica al bambino che il suo comportamento “ci tiene in scacco”.

La proposta psicomotoria può andare nella direzione di “disinnescare” questi piccoli e frequenti circoli viziosi e andare al cuore del problema.

In sala di psicomotricità i bambini si muovono in fretta. Possono correre, saltare, rotolare, saltellare, zompettare, strisciare e far tutto ciò che la meravigliosa macchina del loro corpo consente loro a seconda dei loro desideri e bisogni. Ma questo, con questa tipologia di bambini, spesso non è sufficiente.

Per questo motivo, ci sono almeno 3 aspetti importanti e che orientano il lavoro psicomotorio nella relazione con i cosiddetti “bimbi trottola”.

Cerchiamo di entrare più nel dettaglio.

 

Io non ti vieto il tuo bisogno, ma offro al tuo bisogno la giusta risposta.

La sala di psicomotricità è il luogo della possibilità. Ogni bisogno e ogni desiderio deve poter trovare una specifica risposta dentro le mura della sala, all’interno di un tempo, uno spazio e delle regole ben definite. All’interno di una proposta educativa così altamente fondata sul principio della libertà, nessun diritto e nessun bisogno potrebbe essere veramente rispettato se non all’interno di alcuni limiti che azzarderei a definire sacri e inviolabili. D’altro canto, sarebbe ingannevole e non veritiero affermare che in sala di psicomotricità non esistono divieti. Ciò che fa la differenza, nella proposta psicomotoria, è che i divieti (pochi, ma importanti) vengono posti solo su specifiche azioni, legate a specifici motivi. Seguono sempre a tali divieti, letture attente dei bisogni che hanno animato i comportamenti, e la proposta di strategie funzionali per dar comunque risposta al bisogno. Faccio un esempio molto concreto e semplice. Pensiamo ad un bambino che distrugge la costruzione di un compagno di giochi. In sala di psicomotricità, una regola importante è quella che “non si distruggono i giochi degli altri”. È evidente che a fronte di questo tipo di infrazione, deve esserci un forte richiamo alla regola. D’altro canto, questo non sarebbe sufficiente se non avvenisse in stretta relazione con l’offerta di una possibilità alternativa che, ad esempio, potrebbe essere la seguente: “se hai bisogno di distruggere, posso costruirti qualcosa che tu possa distruggere”. Allo stesso modo, il bambino che continua a muoversi, senza meta, senza apparente obiettivo e facendosi male, ha bisogno di trovare un adulto che riconosce il suo bisogno, lo verbalizzi, lo renda visibile. I bisogni dei bambini alle volte hanno bisogno di essere presi per mano e accompagnati verso sentieri di risposta più funzionali e maggiormente orientati al benessere. Questo è il compito dello psicomotricista.

 

Io do senso al tuo movimento

È evidente che il movimento dei “bimbi trottola” appaia spesso come privo di senso. Appare in questo modo perché ci accorgiamo che sono bimbi che non si fermano su nulla. Toccano oggetti, cominciano azioni, innescano dinamiche…ma senza portarne mai a termine una. Come adulti abbiamo bisogno anzitutto di riconoscere un aspetto importante. Talvolta il senso del movimento può anche essere il bisogno di muoversi. Muoversi per scaricare tensioni, muoversi per sentire e capire mio corpo, muoversi per ricordarmi che io sono presente nel mondo. Un primo passo riguarda proprio il legittimare questo bisogno, riconoscerlo, percepirlo in tutta la sua dignità. D’altro canto, abbiamo bisogno di offrire qualcosa di più a questi bambini, di fare con loro un passo ulteriore in direzione di crescita e benessere. Per questo motivo, abbiamo bisogno di “prestare direzioni di senso” al movimento dei bambini. Parlo con convinzione di direzioni di senso, altrimenti definibili come ipotesi di senso, poiché esisterà sempre e inevitabilmente uno scarto tra il senso che noi scegliamo di “offrire” al movimento che osserviamo e il “reale” senso che muove quel movimento. D’altronde, potrebbe anche accadere che la nostra direzione di senso, si trasformi nel senso “reale” che muove il bambino. Mi spiego ed entro nel concreto. Pensiamo ad un bambino che corre ripetutamente in cerchio, sbattendo il proprio corpo contro il muro e inciampando, qua e là, su alcune palline e teli che si trovano sul pavimento della sala. All’interno di questo circuito di movimento, apparentemente privo di senso, possiamo cominciare a orientare delle direzioni. Ecco allora che quelle palline, possono essere poste in un modo più ordinato e sequenziale e… “Che idea incredibile che hai avuto! Guarda, è proprio un percorso che si può fare muovendosi a zig zag!”. O ancora: “Ho sentito che ogni volta che il tuo corpo colpisce il muro fa un suono. Proviamo a sentire che suono fa battendo contro questo materasso!”. O ancora: “Ho visto che hai toccato il telo! Forse ti può servire un mantello per correre più velocemente, di che colore lo vuoi?”.

Vedete? Da ognuna di queste proposte, può iniziare a nascere una storia, ovvero una tessitura di significati.

 

Io non ti permetto di farti male

In ultimo, la regola forse più importante per uno psicomotricista. “In questo posto, non ci si fa male”. Si tratta una regola fondamentale, che desidera comunicare implicitamente un messaggio potente: “Tu sei importante. Il tuo corpo è importante. Trattalo con cura. Io sono qui per aiutarti a farlo”. Come spesso capita di osservare e come ho anticipato nelle premesse di questo articolo, i “bimbi trottola” tendono a sbattere molto frequentemente e con la stessa rapidità tendono a ri-alzarsi e ricominciare il loro turbinio di movimenti. Una delle prime e importanti azioni che vengono messe in campo con questi bimbi e fermarsi, insieme a loro, ogni qualvolta avvenga una scivolata, una botta, una caduta, un colpo…

Si tratta di un passaggio impegnativo, perlopiù per lo psicomotricista (o per l’adulto in generale), poiché è importante riuscire ad accorgersi – soprattutto nei primissimi incontri – di tutte le volte in cui questo accade. E questo non è sempre semplice, in quanto, come accennavo prima, questi bimbi hanno una capacità di recupero molto elevata. D’altro canto, è davvero importante riuscite a far notare ai bimbi questi colpi, oramai divenuti invisibili. Spesso può essere utile fermarli delicatamente ma con decisione e toccare/massaggiare la parte colpita. Può seguire a questa proposta la domanda più specifica: “Dove hai sbattuto?” o, ancor dopo, “Hai sentito male?”. Potrà succedere che talvolta alla prima domanda la risposta sia: “Non lo so!” o addirittura “Non ho sbattutto” o un frettoloso “Sto bene!”. Così come, sarà difficile che questi bimbi esprimano verbalmente dolore, quantomeno in un primo momento. Talvolta, può essere utile istituire dentro la sala di psicomotricità una zona “ospedale” dove “curare” i bimbi che si fanno male (naturalmente stiamo parlando di un gioco simbolico!).

Sarà possibile accorgersi, con un po’ di tempo e pazienza, delle evoluzioni nel gioco dei bambini, avvenute sia grazie alla possibilità di aver trovato una “giusta” risposta all’espressione di un importante bisogno, sia alla possibilità di aver ricevuto “in dono” il senso del loro movimento, così come aver potuto fare tutto questo nella massima tutela e sicurezza, condizione imprescindibile per vivere un percorso psicomotorio che possa offrire i suoi effettivi benefici.

Margherita

@margherita_psicomotricista

@margherita_psicomotricista

Psicomotricista e Pedagogista

Psicomotricista e Pedagogista, nutro da sempre una profonda passione verso il mondo dell’educazione, della formazione e del sostegno al benessere e allo sviluppo psicofisico globale delle persone, con particolare riferimento al periodo dell’infanzia.

Inizio i miei studi universitari con una laurea come “Educatrice di nido”, per poi proseguire con una laurea magistrale in “Pedagogia” e con la scuola triennale di formazione in “Psicomotricità”. 

Concludo il mio percorso accademico con un “Dottorato di Ricerca in Scienze Pedagogiche”. 

Attualmente sono coordinatrice pedagogica e conduco gruppi di psicomotricità educativo-preventiva. 

Ig
Fb