I bambini timidi e insicuri sembrano avere più difficoltà di altri a trovare uno spazio adatto ad accogliere le loro caratteristiche.

 

Bambini timidi e insicuri: perché la psicomotricità può aiutare

 

Capita piuttosto frequentemente che sulla soglia della porta della sala di psicomotricità, arrivino bambine e bambine che ci vengono presentati come timidi e insicuri.

Badate bene, non a caso parlo della “soglia della porta”.

È proprio la soglia della porta il loro luogo preferito, quello che percepiscono come il più sicuro.

Metà dentro, metà fuori, costantemente combattuti tra desiderio e paura: un continuo tira e molla tra i loro vissuti e le aspettative del mondo circostante.

I genitori che scelgono l’attività psicomotoria per questi bimbi lo fanno nella consapevolezza che la psicomotricità è un’attività che pone al centro le emozioni dei bambini e, poiché intuiscono le difficoltà di natura prevalentemente emotiva dei loro figli, ipotizzano – giustamente – che la sala di psicomotricità possa essere il luogo giusto per accoglierli.

 

Ma…se non volesse entrare in sala?”

Ma…se non gli piacesse la psicomotricità?”

Ma…se non facesse nulla?”

 

Di solito queste sono le 3 domande che maggiormente mi rivolgono i genitori di questa tipologia di bambini e di bambine.

Sono domande legittime e importanti, che possono avere due sfumature di significato differenti, che mettono in luce due punti di vista opposti:

  1. Queste domande ci mostrano un genitore che – più o meno esplicitamente – considera negativamente le caratteristiche del/della figlio/a. Le sue domande ci stanno comunicando la paura che – proprio a causa di queste caratteristiche – nemmeno la psicomotricità possa essere l’attività giusta per il/la bambino/a. Spesso, questo atteggiamento nasce a seguito di una serie ripetuta di fallimenti, come diverse attività extra-scolastiche scelte e poi interrotte.

  2. Queste domande ci mostrano un genitore che empatizza con le caratteristiche del/della bambino/a e non desidera per lui un luogo dove si possa sentire in difficoltà (magari costretto a far qualcosa che non vuole fare). Spesso questo atteggiamento nasce dall’aver visto il/la proprio/a bambino/a in difficoltà in alcune situazioni dove veniva spinto a fare qualcosa contro la sua volontà.

Come vedete, si tratta di due punti di vista che – sebbene entrambi esprimano un timore – lo direzionano verso due soggetti diversi: il bambino e l’attività psicomotoria.

 

Bambini timidi e insicuri

 

Quali sono le risposte che offro ai genitori in risposta a queste 3 domande?

 

Ma…se non volesse entrare in sala?”. Aspetteremo.

Ma…se non gli piacesse la psicomotricità?”. Impossibile.

Ma…se non facesse nulla?”. Osserverà.

 

Cerco quindi di argomentare meglio queste mie risposte rapide e concise.

 

Perché è impossibile che la psicomotricità non piaccia ad un bambino?

Perché la psicomotricità è un’attività che non implica nessuna forma di prestazione.

Nessuno impone al/alla bambino/a cosa fare, ma al massimo offre un contesto dove poter “fare” ciò che desidera, ciò di cui ha bisogno (sempre nei limiti di alcune regole importantissime e ben definite). Nessuno impone al/alla bambino chi e come deve essere, ma al massimo offre un contesto dove poter sentire valorizzate le proprie caratteristiche, scoprendone persino delle nuove. La psicomotricità si fonda sull’arte del giocare, in tutte le sue incredibili sfumature (giochi solitari, di coppia, di gruppo, giochi movimentati e giochi lenti, giochi di costruzione, giochi di rappresentazione, giochi simbolici, ecc.). La sala di psicomotricità è un contesto modellato e predisposto per accogliere i bisogni evolutivi tipici dei bambini.

 

Perché è necessario aspettare un/una bambino/a che sembra non voler entrare in sala?

Perché quel/quella bambino/a ci sta comunicando una cosa troppo importante e troppo preziosa, per non ascoltarla.

Ci sta dicendo: “Ho paura”, “Non riesco ad allontanarmi dalla mia mamma/dal mio papà”, “Non costringermi”, “Sono in difficoltà…”.

Ciascuno di noi potrà riconoscersi almeno in una situazione dove è stato tirato dentro contro la sua volontà, nel totale non rispetto delle sue paure. E ciascuno potrà riconnettersi con le emozioni di quel momento… Non aggiungo altro. I bambini e le bambine che hanno bisogno di sostare sulla soglia della porta, prima del tutto fuori, poi a metà, poi sempre più dentro…sempre più dentro…hanno il diritto di potersi relazionare con adulti in grado di aspettare con rispetto e fiducia.

La difficoltà, spesso, è più in noi adulti che cadiamo nel tranello del “devo fargli/farle fare qualcosa”, “chissà cosa penserà il genitore se non ‘la/lo tiro dentro’”, “hanno pagato per fare un’attività, devo forzarlo/la”. Invece che sprecare tutte queste energie negative in questi sentieri di pensiero, piuttosto – e qui parlo ai professionisti – proviamo a raccontare ai genitori il senso delle nostre azioni, con convinzione e professionalità. Un buon allineamento tra professionista e genitore e una situazione di abbassamento delle aspettative di prestazione, state certi che vi sorprenderà.

 

 

Perché è necessario cambiare prospettiva, dal non fare all’osservare?

Perché aspettare può significare fare tantissime cose, aventi un immenso valore psicomotorio. I bambini che aspettano, fanno tantissima esperienza di osservazione e hanno un immenso bisogno di sentire riconosciuta e valorizzata questa loro competenza. Questo consentirà al serbatoio dell’autostima di ricaricarsi e…davvero, talvolta basta un soffio per prendere il volo.

In conclusione e sintesi, il lavoro psicomotorio con bambini definiti timidi e insicuri è quello di mostrar loro (ai loro genitori e ai loro compagni di gioco) che esiste un luogo che non solo accoglie queste loro caratteristiche, esattamente per come sono, senza alcuna volontà di modificarle/cancellarle, ma anche – e soprattutto – un contesto che da queste caratteristiche sa trarre il meglio.

Margherita

@margherita_psicomotricista

@margherita_psicomotricista

Psicomotricista e Pedagogista

Psicomotricista e Pedagogista, nutro da sempre una profonda passione verso il mondo dell’educazione, della formazione e del sostegno al benessere e allo sviluppo psicofisico globale delle persone, con particolare riferimento al periodo dell’infanzia.

Inizio i miei studi universitari con una laurea come “Educatrice di nido”, per poi proseguire con una laurea magistrale in “Pedagogia” e con la scuola triennale di formazione in “Psicomotricità”. 

Concludo il mio percorso accademico con un “Dottorato di Ricerca in Scienze Pedagogiche”. 

Attualmente sono coordinatrice pedagogica e conduco gruppi di psicomotricità educativo-preventiva. 

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