La scuola a distanza sembra essere il nuovo modo di fare scuola, ma è giusto riflettere su svantaggi e benefici.

 

La scuola a distanza o didattica a distanza

Non è una novità che il mondo della scuola ami spassionatamente gli acronimi. Non deve stupire dunque che una delle prime cose fatte a seguito del generale lockdown dovuto all’emergenza Covid19 è stato coniarne uno. DAD sta, infatti, per didattica a distanza. Nessuno era pronto, nessuno era preparato, nessuno sapeva bene come sfruttare i media per fare scuola da lontano. Eppure tutti ci siamo trovati nella situazione di dover fare fronte a questa lontananza fisica, che poteva solo utilizzare la tecnologia come tramite, e per una volta, non come materia di studio.

Il coronavirus, di prepotenza, ha costretto figli, genitori e insegnanti a scoprire man mano un nuovo modo di fare scuola, e la didattica a distanza ha assunto, partendo da una definizione nebulosa e contraddittoria, contorni sempre più nitidi ma talvolta ancora molto controversi. I più piccoli non sono autonomi nell’uso delle tecnologie e i docenti spesso non sono maturi, da questo punto di vista. La pandemia ha avuto il ruolo di acceleratore di alcune questioni sociali e la scuola, che è uno dei capisaldi della tradizione assieme dell’innovazione della società non ne è esente. Così, nonostante le (mancanti, poche, vaghe) istruzioni ministeriali, ognuno improvvisa con risultati diversi. Quali sono le buone pratiche e l’atteggiamento giusto? In quali condizioni funziona e in quali arranca questa scuola che entra nelle case dei suoi alunni?

Ogni giorno, in ogni casa con figli, mamma e papà, ma anche molto spesso nonni disarmati e stremati dalle richieste, stanno scoprendo la didattica a distanza. Inclusi i piccoli della scuola primaria, la fascia di età più delicata, e, udite udite, della scuola dell’infanzia. Lasciamo stare i dati. La ministra Azzolina fornisce spesso dati e numeri che possono favorire la presentazione di un quadro generale, ma per chi come me è a contatto con i bambini, che tutto sono fuorché dati e numeri, la prospettiva è differente e i numeri non dicono assolutamente nulla.

scuola a distanza

«Continueremo a mettere a disposizione piattaforme, risorse per i device e la formazione dei docenti; organizzando webinar e promuovendo iniziative di gemellaggio; attivando forme di supporto psicologico per i ragazzi» ha spiegato la ministra Azzolina. Perché il vero problema, più che il quanto, è il come. Soprattutto nella scuola primaria, dove i bambini sono di età ancora acerba per essere autonomi di fronte a un tablet o ad un pc a seguire video lezioni, o non ancora in grado di barcamenarsi tra materiali didattici virtuali, schede da stampare, video tutorial inviati nelle modalità più disparate, piattaforme di ogni genere, compiti che circolano via chat e altre soluzioni simili. Molto semplicemente, ho alunni che non hanno neanche la stampante e io ho l’obbligo morale di considerare diverse soluzioni per problemi di natura anche molto diversa.

 

Linee guida per la scuola a distanza

Il Ministero ha impostato delle linee guida per la didattica a distanza con una circolare, il 17 marzo. «Per la scuola primaria», si legge nel documento, «a seconda dell’età, occorre ricercare un giusto equilibrio tra attività didattiche a distanza e momenti di pausa, in modo da evitare i rischi derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi. La proposta delle attività deve consentire agli alunni di operare in autonomia, basandosi innanzitutto sulle proprie competenze e riducendo al massimo oneri o incombenze a carico delle famiglie (impegnate spesso, a loro volta, nel “lavoro agile”) nello svolgimento dei compiti assegnati». Insomma, un invito alla moderazione del carico di lavoro ma pur sempre in questo quadro generale: «Il collegamento diretto o indiretto, immediato o differito, attraverso videoconferenze, videolezioni, chat di gruppo; la trasmissione ragionata di materiali didattici (…) l’impiego dei registri di classe in tutte le loro funzioni di comunicazione e di supporto alla didattica, con successiva rielaborazione e discussione operata direttamente o indirettamente con il docente, l’interazione su sistemi e app interattive educative propriamente digitali».

Il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, senza spiegazione e contatto con l’insegnante, non va bene. Caricare compiti su Nuvola (una delle piattaforme più utilizzate nelle scuole che utilizzano i registri elettronici) richiede pochi minuti. Ma questo è stato punto dal quale sono partita. Didattica a distanza per me non era questo. Su questo emergono disparità e caos. Ha detto al Corriere della sera Mario Rusconi, presidente dei presidi del Lazio: «A braccio, almeno il 30% degli studenti degli istituti comprensivi del Sud è tagliato fuori. Meglio nel centro nord e alle superiori, dove l’80,9% si connette». C’è un problema di infrastrutture e di “digital divice”, altro super parolone del momento, ci sono genitori che raccontano di 15 giorni di fila di compiti a casa e niente altro, altri che sono impantanati nel buco nero casalingo che ingloba smart working e gestione dei figli (e delle lezioni online). L’impressione è che il dato degli studenti “raggiunti” includa molte forme di comunicazione molto basiche, come mail o telefono. Il che, per carità, è un buon punto di partenza.

scuola a distanza

Cosa deve avere una scuola a distanza ben fatta, gestita con buon senso ed efficace?

Al di là dei desideri o delle pretese dei genitori, che cosa deve avere una didattica a distanza per potersi dire ben fatta? Riportiamo le parole di Manuela Milani, esperta di didattica digitale in ambito accademico e anche lei madre di un bimbo che frequenta la scuola primaria. Pochi punti fondamentali, quasi dei consigli per i docenti che devono progettare un modo nuovo di fare lezione. 

«Primo, non si deve mai partire dalla tecnologia ma da una analisi di cosa si vuole fare, cosa è importante fare. Il problema è che in molte scuole accade il contrario, si adotta una piattaforma e si adatta la didattica ai vincoli della piattaforma. Altra regola importantissima: rendere “calda” la tecnologia. Bambini e adolescenti sono abituati a usare la tecnologia per comunicare, quindi veniamo loro incontro facendo altrettanto. Non per far fare loro attività che potrebbero fare con carta e penna. Non è importante usare tutte le funzionalità offerte dagli strumenti tecnologici, ma usiamo quelle che possono far sentire la vicinanza agli studenti, la presenza. Usare quando possibile il video (anche registrato) e far sentire la voce dell’insegnante. Caricare prevalentemente schede e/o slide e proseguire così la didattica porta inevitabilmente gli studenti a perdere motivazione e sentire insegnanti e docenti distanti».

Sono rimasta molto colpita dalla tempestività di alcune scuole, e mi sono detta che probabilmente erano già pronte, mature, ben prima della pandemia. In effetti, approfondendo la questione, ho verificato che era così. Alcuni istituti si sono organizzati per essere efficaci fin dai primi giorni dell’emergenza. A Melzo, in Lombardia, l’Istituto omnicomprensivo Ungaretti non ha perso tempo. La scuola, primo omnicomprensivo pubblico a fregiarsi della certificazione di Apple distinguished schoolin Italia, partiva già con buone basi. Ci spiega Emilia Cremonesi, vicepreside e coordinatrice del progetto di didattica a distanza: «Abbiamo subito identificato una piattaforma, scegliendo Zoom perché gratuita, agile, semplice da utilizzare. Aspetti fondamentali, visto che dovevamo imporla a circa 400 famiglie della scuola primaria (1.050 su tutto l’istituto). L’abbiamo studiata noi docenti nei primi giorni, per i nostri incontri organizzativi. Poi abbiamo costruito un orario settimanale». Per la primaria sono previste 3 videolezioni in “diretta” al giorno, da 40 minuti l’una, per prime e seconde. Quattro al giorno dalla terza alla quinta.  Sono coinvolti tutti i 40 docenti della primaria, 80 in totale su tutto l’omnicomprensivo, inclusi quelli di sostegno. «La molla che ha spinto questa macchina», spiega la vicepreside, «era garantire la continuità e tenere i bambini agganciati dal punto di vista relazionale».

E il programma (anche se questa è una parola desueta nel mondo scolastico)? 

«Lo si porta avanti: storia, italiano, matematica, scienze. Pur con i limiti di ritmo che la mediazione tecnologica impone. Sul registro elettronico carichiamo materiali utilizzati durante la lezione in modo che restino in visione, o contributi video. Sempre senza sovraccaricare: i piccoli della primaria non ne hanno bisogno, e non possiamo pesare troppo sulle famiglie né tenere i bimbi troppo davanti allo schermo. Devono bastare videolezioni, quaderni e libri in dotazione e materiali online». Senza dover stampare nemmeno un foglio.

scuola a distanza

Dopo i primi giorni di rodaggio, non si scende mai sotto il 95% delle presenze. «La scuola ha in dotazione 25 tablet per ogni interclasse, abbiamo contattato tutte le famiglie che non si erano potute collegare la prima settimana per mancanza di strumenti e li abbiamo distribuiti a loro. Per terze, quarte e quinte», conclude Cremonesi, «creeremo un indirizzo mail unico per ogni classe, controllato dalle insegnanti, che farà da collettore di compiti e verifiche».

Intanto a casa ci sono i genitori o i nonni accanto ai piccoli della prima o seconda elementare. La situazione è inedita anche per loro. 

Ecco alcuni semplici consigli per gestire al meglio la didattica a distanza.

– Preparate i bambini, per tempo, alla lezione: sveglia in anticipo, creazione di un ambiente adatto e comunicazione di uno stile in linea con quanto i bimbi facevano a scuola. È il modo di dire loro che questa parte importante della loro quotidianità non è persa.

– Lasciate autonomia ai bambini nella relazione con la maestra e i compagni: bisogna lasciar loro il proprio spazio senza togliere la libertà che hanno a scuola. L’ideale sarebbe persino lasciare usare loro le cuffie auricolari, e che il genitore cambiasse ambiente in casa. Anche per non suggerire alle domande delle maestre. 

– Vigilate (una o due volte) sull’uso dell’app o della piattaforma: ogni tanto sbirciate e controllate unicamente il modo in cui stanno usando il dispositivo perché non si distraggano, ad esempio, con funzioni non utili.

– Dopo la videolezione: non commentate in nessun modo ciò che avete sentito delle lezioni con i vostri figli, per non interferire nella dinamica didattica. Controllate che svolgano i compiti assegnati, ma senza correggerli: l’errore è il più importante dispositivo di apprendimento. Non togliamolo ai ragazzi!

Nel complesso, dunque, sta funzionando? Dipende.

Dalle condizioni socio-economiche della famiglia. Dall’apertura al nuovo dei docenti. Dalla flessibilità di tutti i fruitori della scuola in lontananza. Dall’età degli alunni e dalla disponibilità di chi li segue ad aprirsi a questo mondo, che mai come ora è una mezzo, non un fine. Una modalità di comunicazione, un ponte per arrivare ai nostri bambini per un abbraccio, un conforto, un dire “Io ci sono, la maestra ti pensa”. La scuola ha il suo perché, in ogni contesto storico e sociale. Il difficile è trovarlo ora, ma è una sfida bellissima, che mi rende orgogliosa della professione che svolgo.

 

Federica 

@maestropuntozero

@maestropuntozero

Insegnante di scuola primaria

Sono Federica, un’insegnante di scuola primaria in Italia dal 1995, nonché mamma di due bambini che cerco di educare secondo i miei principi, ma ho anche esperienze di insegnamento a Londra. Sono orgogliosa di aver pubblicato il saggio Homo Viator, e ultimamente di aver partecipato a dirette radiofoniche e televisive su topic educativi.

@maestropuntozero è un progetto nato con l’idea di innovare i capisaldi della professionalità docente inerenti l’ambiente, la comunicazione e la didattica multidisciplinare attraverso dei contenuti multimediali che aiutino sia i nuovi insegnanti ad inserirsi con efficacia e sicurezza nell’ambiente scolastico sia i docenti più navigati ad innovare i propri metodi nell’ambito di una scuola sempre più digitale.

Il progetto è nato nel 2009 come una serie di schede di aiuto per le insegnanti, si è evoluto con dei quadernoni didattici che venivano usati «in amicizia» tra colleghi e si è concretizzato ad inizio gennaio 2019 con l’apertura di un profilo Instagram con fruizione anche del nuovissimo streaming IGTV e sul quale vengono condivisi dei contenuti per la maggior parte video, nei quali vesto i panni di una «teaching coach», ovvero condivido esperienze, idee, opinioni miscelando autoironia, racconto di aneddoti e professionalità, interagisco attivamente con i miei followers e dispenso consigli e suggerimenti motivazionali che possano portare a credere sempre di più nelle missioni ultime dell’insegnamento: lo sviluppo educativo e personale dell’alunno e la propria crescita individuale dell’insegnante a contatto con i propri studenti.

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