Fermami, tienimi, aiutami: Il contenimento fisico dei bambini

I bambini, specialmente nella fascia d’età 0-6 anni, hanno una specifica sensibilità rispetto alla dimensione della corporeità. Non solo attraverso il loro corpo ci parlano di loro ma colgono nel corpo degli Altri segnali comunicativi importanti.

I bambini utilizzano questo “super-potere” in maniera spontanea, senza alcuno sforzo di tipo cognitivo. Via via, con il crescere dell’età e il subentrare di competenze verbali sempre più raffinate, la corporeità lascia spazio alla parola, che diventa la componente comunicativa principale. D’altro canto, il corpo non smette di “parlare”, ma diventa spesso soggetta al “controllo” della consapevolezza, che lo libera o lo zittisce un po’ a suo piacimento.

Eppure, per chiunque operi professionalmente nel campo della prima infanzia e per chiunque si relazioni con bambini tra gli 0 e 6 anni, è evidente quanto la corporeità si connoti come “la lingua madre” del bambino. Gran parte dei conflitti e delle fatiche comunicative e/o relazionali che gli adulti hanno nei confronti dei bambini, sono dettate da una scarsissima competenza sul piano della comunicazione corporea, perduta con il divenire adulti.

Stili educativi e genitoriali sempre più consapevoli, ci hanno insegnato quanto la “fisicità usata male” possa essere dannosa per i bambini; mi riferisco, in particolar modo, alle dannose conseguenze neurofisiologiche e psicologiche della violenza fisica utilizzata come strumento punitivo. Abbiamo imparato a “usare le parole al posto degli schiaffi” e questo mi sembra un grande obiettivo raggiungo da parte del “mondo adulto”.

Sono convinta, però, che si possa fare un passo ulteriore, per aiutare molti adulti che ricoprono una responsabilità educativa e affettiva nei confronti di bambine e bambini. Mi riferisco, in particolare, al raggiungimento di una maggiore consapevolezza sul piano della comunicazione corporea.

Con questo articolo, mi piacerebbe condividere alcune riflessioni e strategie in merito alla comunicazione non-verbale e come essa possa essere utile per gestire alcuni momenti difficili, dove i bambini ci chiedono una particolare vicinanza fisica, talvolta necessitando di un vero contenimento fisico.

La teoria del contenimento è stata introdotta per la prima volta nel 1962 dallo psicoanalista britannico Bion che ha parlato di contenimento in relazione al processo di continuo aggiustamento emotivo che avviene tra il neonato e il suo caregiver principale, esclusivamente tramite un dialogo tra corpi.

Bambino e caregiver non hanno altro che il corpo per comunicare e di questo prezioso strumento di comunicazione diventano i massimi esperti. Questo “concentrato” di esperienza comunicativa corporea, rimarrà impresso indelebilmente nella nostra pelle, nervi, muscoli, ossa…una memoria corporea che ci accompagnerà per il resto della nostra vita.

È evidente quanto i bambini più piccoli siano temporalmente più vicini a questa intensa esperienza dialogica e quanto, per loro, sia più semplice e immediato richiamare questa competenza.

Un adulto che è riuscito a “ri-accendere” la propria competenza comunicativa non-verbale (come ad esempio è “d’obbligo” fare per uno psicomotricista), è un adulto che può utilizzare un “super-potere” in più nella comunicazione con un bambino, riuscendo a dialogare direttamente con la sua “pancia” e il suo “cuore”, invece che con il suo “cervello”.

In questo articolo vorrei parlarvi di 3 tipi di contenimento fisico che mi capita di mettere in campo di sala di psicomotricità e che definirei:

  1. Lieve (emotività medio-bassa; fisicità medio-bassa)

  2. Moderato (emotività medio-alta; fisicità medio-bassa)

  3. Intenso (emotività medio-alta; fisicità medio-alta)

 

Contenimento fisico lieve

Il contenimento fisico lieve avviene solitamente in situazione di lieve timore, titubanza, incertezza di un bambino. Solitamente non comporta una fisicità intensa, ma potrebbe richiedere una fisicità prolungata. Per rendere più chiaro ed esaustivo quanto intendo, mi avvarrò di fotografie direttamente provenienti dalla mia sala di psicomotricità.

Questa bimba è Simona, talvolta le esperienze nuove, rumori forti e improvvisi e giochi particolarmente movimentati, la intimoriscono un po’. I suoi occhi si “allertano”. In questo caso, il contenimento fisico che porta rassicurazione è attuato mediante due corpi vicini e una mano ferma, aperta e sicura sulla schiena. Lo sguardo di entrambe è direzionato verso “l’oggetto di paura”. Simona non ha bisogno di grandi parole, ma di un tempo di contenimento fisico – seppur lieve – piuttosto prolungato. La mia postura è comoda e comunica stabilità e disponibilità.

 

Contenimento fisico moderato

Un contenimento fisico moderato, di solito, avviene quando si incontra quando il bambino vive una condizione emotiva piuttosto intensa, ma che ancora non ha avuto conseguenze sul piano corporeo (ad esempio, il bambino può essere molto arrabbiato, ma mostra di aver ancora controllo sulla sua corporeità). Si tratta di un contenimento che spesso può essere accompagnato da qualche parola, a completamente dell’azione di contenimento.

Paolo e Gianluca, 5 anni, sono coinvolti in un conflitto verbale intenso. È un periodo in cui, con questi bambini, sto ampiamente lavorando sulla gestione del conflitto e della regolazione delle emozioni di rabbia. Li guardo da lontano e percepisco che la soglia tra il verbale e il fisico è sottile, la tensione comincia a essere rilevante. Mi avvicino e cingo in un lieve tocco entrambi, senza pronunciare nessuna parola. Alterno il mio sguardo tra l’uno e l’altro, a seconda dei turni di parola. L’intensità emotiva è alta, quella fisica è medio-bassa.

Contenimento fisico intenso

Un contenimento fisico intenso avviene quando ci troviamo di fronte a una situazione di alta e intensa emotività che ha già coinvolto ampiamente la dimensione fisica (es: un bambino che si sta facendo male o sta facendo male ad altri; un bambino che rifiuta di fermarsi quando necessario, ecc.).

 

Riccardo fatica a decelerare quando necessario: ad esempio, quando l’incontro finisce, fatica a tornare seduto, insieme al resto del gruppo. Mi alzo e lo vado a prendere. La sua intensità fisica è importante e dimostra di non gradire il mio intervento. Riesco a fermarlo cingendo il busto da dietro, dove riesco ad avere una maggiore presa che pur rimane lieve, poiché svolta con una sola mano. Riuscita ad abbassare la sua intensa tonicità, mi siedo e attivo una posizione vis-à-vis. Una mano gli cinge la schiena, una mano sulla pancia, le mie ginocchia leggermente toccano il suo bacino. Non potete sentirlo, ma gli sto dicendo: “Riccardo, vedo che oggi è davvero difficilissimo fermarti e venire con noi nel cerchio. Oggi hai fatto dei giochi stupendi, pieni di energia. Ecco perché è difficile fermarti. Non ti preoccupare, ti aiuto io se oggi non ce la fai”.

 

Il tema del contenimento fisico porta sempre con sé, all’interno del dibattito, posizioni differenti, spesso influenzate anche da emozioni soggettive ed esperienze personali.

C’è chi pensa sia da utilizzare maggiormente e chi inneggia alla “violenza” quando bambino viene fermato fisicamente (magari mentre si sta facendo male o sta facendo male ad altri), chi lo usa “male” (con troppa aggressività o, inversamente, con poca sicurezza) e chi pensa di usarla bene, ma non ne trova beneficio (forse perché non la sta utilizzando affatto bene!)…

Come adulti, siamo troppo poco abituati a pensare al nostro corpo e alle sue potenzialità comunicative, come strumenti che – se utilizzati consapevolmente – potrebbero di gran lunga “facilitare” il nostro compito educativo quotidiano. Esiste ancora una assai scarsa consapevolezza in tal senso e sarebbe davvero auspicabile trovare strategie per poter realmente imparare ad utilizzare questo meraviglioso “superpotere”, così prezioso ed efficace nella relazione con i bambini.

Margherita

@margherita_psicomotricista

@margherita_psicomotricista

Psicomotricista e Pedagogista

Psicomotricista e Pedagogista, nutro da sempre una profonda passione verso il mondo dell’educazione, della formazione e del sostegno al benessere e allo sviluppo psicofisico globale delle persone, con particolare riferimento al periodo dell’infanzia.

Inizio i miei studi universitari con una laurea come “Educatrice di nido”, per poi proseguire con una laurea magistrale in “Pedagogia” e con la scuola triennale di formazione in “Psicomotricità”. 

Concludo il mio percorso accademico con un “Dottorato di Ricerca in Scienze Pedagogiche”. 

Attualmente sono coordinatrice pedagogica e conduco gruppi di psicomotricità educativo-preventiva. 

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